«Mi sveglio sempre prima della fine dei sogni.
Staccata, come se venissi ritagliata con le forbici dalla carta.»
(Dinosauri Psicopompi, Anterem Edizioni, 2022)


BIO-BIBLIOGRAFIA

Paola Silvia Dolci è autrice, ingegnera civile e giornalista pubblicista. Collabora con diverse riviste letterarie e testate nazionali. È direttrice responsabile della rivista indipendente di poesia e cultura «Niederngasse». Ha pubblicato: Bagarre – Lietocolle ed., 2007; NuàdeCocò, Manni ed., 2011; Amiral Bragueton – Italic Pequod ed., 2013; I processi di ingrandimento delle immagini – Oèdipus ed., 2017; bestiario metamorfosi – Gattomerlino Superstripes ed., 2019; Portolano – Mattioli1885 ed., 2019; Diario del sonno – Le Lettere ed., 2021, da cui è stata tratta una riduzione teatrale; un libro segreto sotto pseudonimo, 2021; Dinosauri Psicopompi – Anterem ed., 2022; abstine substine – pièdimosca ed. 2023.

INTERVISTA

1. La parola è parte di un linguaggio conoscitivo e creativo definisce e scardina. Qual è una parola che ritieni abbia rappresentato la tua esperienza poetica?

La mia parola è: Merda! Scrivo, per non allontanarmi troppo da quello che devo fare. Una ruota panoramica, l’arietta. Dove andare, se bastasse andare? Tutta la stagione è stata difficile. E forse non riuscirò a fare meglio di così. Vorrei solo dormire e fare la cacca tutti i giorni. Se riuscissi a dormire e fare la cacca tutti i giorni, potrei conquistare il mondo.

2. Madri e padri del proprio percorso poetico: qual è il tuo rapporto con la tradizione letteraria e come essa ha influenzato la tua scrittura poetica?
La scrittura è un passaggio attraverso la lingua, una testimonianza della coscienza. La scrittura è uno stato di transizione. Io scrivo da quando ero bambina, per allentare l’angoscia. E poi, scrivo perché voglio essere qualcun altro. Un paesaggio, la natura, il mare, può mostrarti quello che sei: la poesia può dirti dove puoi arrivare. Ho sempre letto moltissimo, ogni giorno, e riversato la lettura nella scrittura.

Sono stata governata per anni da Brodskij, da Bulgakov, da Canetti, da Camus, da Céline, da Faulkner, da Hrabal, da Kristof, da Ritsos, da Yourcenar (questa è solo un’istantanea); e ne sono molto grata. La letteratura ha questa peculiarità, ci permette di entrare in contatto con un’altra mente umana, “con l’integralità di tale mente, le sue debolezze e le sue grandezze, i suoi limiti, le sue meschinità, le sue idee fisse e le sue convinzioni, con tutto ciò che la tenta, la interessa, la eccita o le ripugna”, sostiene Houellebecq, “solo la letteratura può permettere di entrare in contatto con la mente di un morto in modo più diretto, più completo, e più profondo di quanto potrebbe fare persino la conversazione con un amico”. Sull’isola deserta porterei Shakespeare. Le mille e una notte, e tutti i libri di favole di ogni nazione e cultura. Alcuni di questi autori mi hanno tenuto compagnia, altri mi hanno aiutata a pensare. Ma ne ho altri ancora, dai quali ho rubato.

Le citazioni che utilizzo non sono famose, più spesso sembrano parole pronunciate a margine, colte quasi per caso. Parlo con la bocca di altri scrittori che citano altri scrittori, poeti e pittori, ma non con l’aria di dire grandi cose. È la minuzia del quotidiano a colpirmi, lo sconcerto per la normalità delle piccole cose nel loro apparire improvvisamente singolari, improvvisamente spostate, viste da fuori, attraverso una nuova voce. Nella psicanalisi, come nella poesia, sembra non possa esserci altro che un fantasmagorico gioco di specchi, in cui l’io si riflette mille volte senza permetterci mai di sapere quale sia l’immagine reale, o anche solo se ce ne sia un’immagine reale, o se reali non siano piuttosto tutte. Perché gli altri parlano attraverso me, e io parlo attraverso gli altri. E per questo mi diverto a inanellare serie di citazioni false, o di attribuzioni sbagliate, all’interno dei miei libri.