«Abitiamo da sempre il nero della scena. Le zone dell’agire non si comprendono. A che punto siamo dello spettacolo? Le sedie accolgono con fatica i nostri corpi invadenti, ma ognuno di noi è un posto vuoto.»
(Da Oltre i titoli di coda, Aragno Editore, 2015)


BIO-BIBLIOGRAFIA

Giovanna Marmo ha pubblicato: Poesie (Studiozeta, 1998), Fata morta (Edizioni d’if, 2006), Occhio da cui tutto ride (No Reply, 2009), La testa capovolta (Edizioni d’if 2012), Oltre i titoli di coda (Aragno 2015) e il cd audio Sex in Legoland (Derive Approdi, 2002). È presente in antologie e riviste tra cui Verso, l’immagine. (Fondazione Baruchello, 2004), Sette poeti italiani (Oédipus, 2005), Veus paralleles (Rema 12, 2007), Poesie dalla fine del mondo (Derive Approdi 2007), La fisica delle cose. Dieci riscritture da Lucrezio (Perrone 2011), Poesie dell’Italia contemporanea (il Saggiatore a cura di Tommaso Di Dio, Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea (Il Saggiatore, a cura di Laura Pugno), Italia poesia presente (Lieto Colle edizione bilingue italiana/spagnola), “Sewanee Theological Review”, “Italies n.13. Parcours poétiques au féminin”, “Chicago Rewiew”, “il Verri”, “Semicerchio”, “Atti impuri”, “alfabeta2”, “Trivio”. Tradotta in francese, inglese, catalano, russo, serbo. Nel 2005 ha vinto il premio Delfini. Ha partecipato a numerosi Festival e Readings di poesia in Italia e all’estero.

INTERVISTA

1. La parola è parte di un linguaggio conoscitivo e creativo definisce e scardina. Qual è una parola che ritieni abbia rappresentato la tua esperienza poetica?
Fotogramma.
La mia è una memoria visiva. Si espande per immagini, fotogrammi e cicatrici visive che si imprimono nella mente come orme anonime. Per comprenderle cerco un nuovo nome. La memoria trasforma la parola in forma. Attraverso il processo della memorizzazione la forma assume un peso che consente di “cadere” o di avere un nuovo equilibrio visivo nella mia mente. A quel punto la parola per non sentirsi sola ha bisogno della voce.

2. Madri e padri del proprio percorso poetico: qual è il tuo rapporto con la tradizione letteraria e come essa ha influenzato la tua scrittura poetica?
La prima poesia che mi ha veramente folgorato è stata “Sensazione” di Arthur Rimbaud. Tuttavia, non ho avuto un rapporto diretto con la tradizione letteraria in senso stretto, poiché mi sono avvicinata alla poesia attraverso altre forme di linguaggio artistico. Non ho vissuto la distinzione di campi in modo netto. Scrivere poesie è stata una scelta in parte inconsapevole, in altre parole ci sono arrivata attraverso differenti forme d’arte. Solo con il tempo la poesia è diventata il mio strumento per comunicare. Ho iniziato scrivendo testi per musica e titoli che davo ai miei quadri, titoli sempre più lunghi e “non descrittivi”. Con il tempo le parole hanno cominciato a viaggiare sole, senza musica senza immagini.

Forse, il mio primo riferimento è stato, quindi, un poeta come Paul Klee, noto soprattutto per la sua produzione visiva. Della sua poesia mi ha affascinato la capacità di andare oltre il visibile per toccare ciò che è essenziale e invisibile. Questo approccio è evidente nella sua pittura, che spesso si rifà alla leggerezza e alla musicalità della parola. Molte delle sue opere hanno titoli suggestivi, come Poeta ubriaco, Giardino della memoria, Nella corrente del tempo. Sono opere che oscillano tra il linguaggio visivo e quello verbale. Il rapporto tra poesia e immagine nell’opera di Paul Klee è un aspetto fondamentale della sua ricerca artistica. Klee ha sempre considerato la pittura come un mezzo di espressione non dissimile dalla poesia: entrambe cercano di catturare l’invisibile, l’essenza delle cose, attraverso un linguaggio che va oltre la semplice rappresentazione. Questo dialogo tra parola e immagine è molto evidente nei suoi diari che sono sia poesia sia prosa.

Ho sentito vicini anche artisti come Chris Marker (La Jetée), che hanno sperimentato una narrazione puramente fotografica, creando un ponte tra le immagini statiche e il flusso narrativo del cinema. La poesia, il cinema e la fotografia lavorano sul tempo: la poesia lo distilla, scegliendo con precisione le parole che possono cristallizzare un momento. Il cinema, con il montaggio, modula il tempo narrativo e poetico. Registi come Andrej Tarkovskij o Terrence Malick hanno un loro stile poetico, che usa la fotografia cinematografica, il ritmo e il silenzio per evocare stati d’animo simili a quelli delle poesie.